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Si può non pagare l’Imu sulla prima casa non abitata?

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A chiederselo sono i proprietari di più appartamenti o chi, ad esempio, sta in affitto e ha un altro immobile in cui non intende vivere. Come noto, le esenzioni dal pagamento delle imposte sulla casa spettano solo per l’abitazione principale; ragion per cui, spesso e volentieri, molte persone sono solite fissare la propria residenza là dove ritengono opportuno e non dove invece dovrebbero, ossia nel luogo in cui materialmente vivono.

Eppure la legge è chiara: all’ufficio anagrafe non si può riferire una residenza qualsiasi ma va indicata la dimora abituale, ossia l’abitazione ove si vive in prevalenza durante l’arco dell’anno. Chi non rispetta questo precetto commette reato, quello di «falso in atto pubblico».

Anche se non tutti rispettano la legge, ciò non significa che sia stata cancellata la norma del Codice civile che impone a ciascun cittadino di rendersi reperibile (reperibile al postino, alle forze dell’ordine, agli ufficiali giudiziari, ai creditori, ecc.) fornendo, come propria residenza, un indirizzo ove si può essere trovati.

Di qui il quesito: si può evitare di pagare l’Imu sulla prima casa non abitata se tuttavia in essa risulta essere stabilita la propria residenza? Per comprendere meglio come stanno le cose facciamo un esempio.

Indice

  • 1 Marito e moglie con residenze diverse: pagano l’Imu?
  • 2 Imu: cosa significa abitazione principale?
  • 3 Come fa il Comune a sapere se davvero vivi in casa?

Marito e moglie con residenze diverse: pagano l’Imu?

Immaginiamo una coppia, marito e moglie. Entrambi i coniugi sono titolari di un appartamento ciascuno, situato nella medesima città dell’altro. I due però, dovendo iniziare la convivenza matrimoniale, decidono di stabilirsi a casa dell’uomo (più grande e accogliente) e lì fissano la propria residenza. Il Comune, a questo punto, manda un avviso con cui chiede il versamento delle tasse (Imu e Tasi) sulla casa di proprietà della moglie. La donna, per evitare il salasso fiscale, decide di spostare la propria residenza nella propria casa, lasciando inalterata invece quella del marito nell’abitazione ove la coppia vive. Una soluzione del genere è sufficiente ad evitare di pagare l’Imu sulla casa non abitata? La risposta è negativa. Cerchiamo di comprendere il perché.

Imu: cosa significa abitazione principale?

La legge [1] stabilisce l’esenzione dal pagamento delle imposte sulla casa (Imu e Tasi) solo per l’abitazione principale. Cosa si intende con questo concetto?

La Cassazione ha, in proposito, più volte ricordato che [2] l’abitazione principale è quella ove è fissata la residenza del titolare dell’immobile e la dimora abituale sua e di tutta la famiglia. In altri termini, sono tre i requisiti che bisogna rispettare per poter parlare di abitazione principale e, in definitiva, per non pagare l’Imu (e la Tasi):

  • bisogna aver fissato la propria residenza anagrafica all’indirizzo ove è situato l’immobile in questione;
  • bisogna avere, in tale immobile, la propria dimora abituale: ossia bisogna vivervi, per gran parte dell’anno, in modo continuativo e stabile;
  • l’immobile deve anche essere la dimora abituale di tutto il nucleo familiare.

Com’è facile intuire il primo requisito (la residenza) è di ordine formale e consiste con il dato risultante all’anagrafe. Ma siccome – così come abbiamo visto in apertura – è frequente l’ipotesi di dichiarazione di falsa residenza, la legge ha voluto richiedere anche un ulteriore requisito, questa volta di carattere sostanziale: la dimora abituale. In altri termini, se da un controllo del Comune, dovesse risultare che, nonostante la residenza, non vivi realmente all’interno della casa in questione, allora non ti spetta l’esenzione e se non hai pagato Imu e Tasi vieni considerato un evasore.

Come fa il Comune a sapere se davvero vivi in casa?

Ti chiederai, a questo punto, come fa il Comune a sapere se davvero vivi in un immobile? Sono previsti dei controlli sulla residenza. Innanzitutto, saprai di certo che, nel momento in cui chiedi il cambio di residenza, la polizia municipale può eseguire dei controlli nei successivi 45 giorni per verificare se hai detto la verità. In caso contrario ti nega il cambio di residenza. Leggi sul punto: Visita vigile per cambio di residenza.

In alcuni Comuni, i vigili prendono un appuntamento con il diretto interessato e, in quell’occasione, ricevuti presso il nuovo domicilio, gli fanno qualche domanda di rito. Possono chiedere di accedere all’abitazione ma, in caso di diniego da parte dell’interessato, non possono forzarlo. In altri Comuni, invece – di solito quelli più grandi – la polizia effettua un tentativo di accesso “a sorpresa”, senza cioè anticipare in quale data ed a quale orario avverrà il controllo; e, se non trova nessuno a rispondere al campanello, chiede informazioni ai vicini o al portiere dello stabile.

Scaduti i 45 giorni dalla dichiarazione di nuova residenza, nulla esclude che il Comune possa fare successivi accertamenti. E tali verifiche possono essere fatte sia sul luogo con lo stesso messo – ossia attraverso i vigili urbani – oppure tramite controlli incrociati.

Ad esempio, è successo più volte che l’ente locale abbia chiesto alle società che gestiscono le utenze della luce e del gas di visionare i consumi fatti dal proprietario dell’immobile per stabilire se questi vi dimora effettivamente. Se dovesse risultare, ad esempio, un consumo molto basso, incompatibile con un uso quotidiano della casa, il Comune potrebbe revocare l’agevolazione fiscalee chiedere il pagamento degli arretrati degli ultimi cinque anni. Tale è infatti il termine di prescrizione delle imposte locali.

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Redazione di Rete Commercialisti