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Il commercialista alla sfida dell'internazionalizzazione

Attività professionali 

L’attuale sviluppo della professione del dottore commercialista non può che passare da una maggior focalizzazione delle attività rivolte ai mercati internazionali, con particolare attenzione alla gestione della leva fiscale ed all’innovazione dei processi gestionali degli studi e delle conoscenze manageriali da trasmettere agli imprenditori. 

Il tema cui è dedicato il Convegno Nazionale UNGDCEC è particolarmente ambizioso e si propone di trattare gli importanti temi dell’internazionalizzazione e dell’innovazione con particolare riferimento allo sviluppo della professione del dottore commercialista.
 
Da un lato, infatti, l’incremento dei traffici internazionali e la crescente globalizzazione hanno condotto a significative trasformazioni nel mercato e nelle strutture produttive, generando una crescente complessità in particolare per quanto riguarda le regole del diritto tributario internazionale, elemento in grado di incidere sia sui legislatori dei singoli Paesi sia sulle modalità operative dei singoli operatori economici.
 
Operare sui mercati esteri per un’impresa significa affrontare fisiologiche barriere di diversa natura che, in ambito fiscale, si traducono in normative che spesso rischiano di peccare di certezza, coerenza e trasparenza.
 
A livello nazionale, alcuni dei decreti legislativi di attuazione della delega fiscale hanno in parte riscritto la normativa in tema di diritto fiscale riguardante i traffici internazionali. Si pensi al D.Lgs. n. 128/2015 sull’abuso del diritto e la cooperative compliance. La vera ristrutturazione è stata, di fatto, operata dal D.Lgs. n. 147/2015, il cosiddetto decreto Internazionalizzazione.
Tra i principali temi che hanno già mostrato la propria rilevanza vi è la disciplina sulle CFC, che, dovrebbe fornire regole chiare dalla definizione delle stesse e dei loro requisiti. Così come notevole importanza nell’attuale contesto economico rivestono le norme sull’esterovestizione societaria, tra le disposizioni più discusse del nostro ordinamento.
 
L'art. 73 TUIR, infatti, identifica i soggetti passivi IRES includendo anche le società “estrovertite”. In particolare il comma 3 qualifica la residenza del soggetto estero in base, alternativamente, alla sede legale (aspetto formale) a quella amministrativa o all'oggetto principale (aspetti sostanziali). Il successivo comma 5-bis, con inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, presume la residenza in Italia dei soggetti esteri che controllano società ed enti residenti in Italia se, alternativamente: sono controllati anche indirettamente da soggetti residenti (anche persone fisiche) o prevedono un organo amministrativo in prevalenza composto da residenti.
 
L’uso indiscriminato di queste norme può comportare effetti rilevanti sul piano della tutela di principi garantiti sia dalla Costituzione (libertà di iniziativa economica) sia dai Trattati europei (libertà di stabilimento) e sui corretti rapporti internazionali in tema di equa ripartizione della capacità impositiva. Non si può, infatti, non riflettere sul fatto che contestare un fenomeno di esterovestizione comporta, di fatto, un’intrusione sulla potestà impositiva di un altro Stato.
L’analisi dell’attuale sistema mostra criteri che soffrono di evidenti segni del tempo, soprattutto in un momento in cui, a livello globale, si cerca di ancorare lo status del contribuente, come quello che riguarda la residenza, ad elementi caratterizzati da una maggiore effettività, come il luogo in cui l’attività produttiva è posta in essere, il valore creato e quindi, come corollario, la potestà impositiva correttamente attribuita allo Stato.
 
Si impone allora una profonda riflessione che coinvolge il percorso finora effettuato e volto a valutare la riscrittura di una normativa organica che identifichi i fenomeni di esterovestizione legati a costruzioni artificiose, prive di effettività economica, legittimanti lo sradicamento.
 
Ampie e variegate sono quindi le problematiche riscontrate da chi opera nel nostro sistema tributario ed in particolare dal dottore commercialista, consapevole che svolgere la propria attività di consulenza in ambito tributario lo sottopone ad una duplice difficoltà: dover fornire soluzioni tecniche in un settore dove domina l’incertezza interpretativa e non poter preventivamente gestire il proprio rischio professionale, non potendo, di fatto, conoscere con tempestività la posizione della sua “controparte”, l’Amministrazione Finanziaria.
 
È, pertanto, quanto mai necessario il formale coinvolgimento del dottore commercialista quale controparte qualificata nel contribuire alla creazione di quel percorso di certezza nell’applicazione delle disposizioni tributarie, con la finalità di poter giungere a protocolli volti ad individuare le aree di maggiore criticità e le conseguenti soluzioni nella gestione del rischio fiscale inteso sia come responsabilità dei professionisti nell’esercizio della propria attività sia quali interpreti della complessa gestione del rapporto fisco–contribuente.
Nell’attuale visione futura dell’attività del dottore commercialista non può dimenticarsi, al contempo, la grande attenzione che deve essere posta al tema dell’innovazione.
Il dottore commercialista del futuro dovrà essere in grado di interpretare e rispondere alle esigenze imposte dalla rivoluzione digitale che modificando profondamente il tradizionale modello di relazione tra imprese e mondo delle professioni. La rivoluzione digitale, ad esempio, ha investito il fisco in maniera dirompente aprendo un dibattito interno alla categoria dei commercialisti. Secondo alcuni, infatti, la minaccia principale rappresentata dalla rivoluzione digitale è costituita dalla progressiva digitalizzazione dei processi contabili e fiscali con una progressiva perdita di valore delle attività di base per il cui esercizio sarebbe in un prossimo futuro appannaggio quasi esclusivo delle società di servizi o meglio ancora delle software house a discapito della categoria dei commercialisti.
 
Da punto di vista gestionale, al contempo, tuttavia, tali aspetti potranno incidere positivamente consentendo di operare diversamente rispetto alle tradizionali procedure di erogazione dei servizi, offrendo nuovi orizzonti alla nostra professione e consentendo al dottore commercialista di evolvere le proprie competenze utilizzando nuovi, e più efficienti, strumenti di lavoro.
La tecnologia può essere considerata come il “motore” dell’innovazione nell’erogazione dei servizi alle imprese in quanto capace, da un lato, di sveltire le operazioni di controllo ed elaborazione dei dati e, dall’altro di comunicare, in modo molto più efficace ed intuitivo, i risultati d’impresa agli imprenditori-clienti, non sempre dotati di una cultura manageriale specifica in tal senso.
La necessaria evoluzione della categoria verso la consulenza aziendale può essere al contempo vista in correlazione con la spinta verso un modello specialistico costruito attorno a logiche di integrazione verticale (network tra professioni affini come, ad esempio, notai e avvocati) e orizzontale (network tra commercialisti). Il dottore commercialista è l’unico soggetto che, con le sue competenza, può contribuire ad integrare conoscenza e innovazione nella cultura organizzativa d’impresa, affinché la conoscenza sia resa sempre più accessibile, comprensibile e utilizzabile al fine di incrementare le performance e garantire la sopravvivenza dell’impresa stessa.

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Redazione di Rete Commercialisti